countdown scandisce le ore, alla Farnesina è una corsa contro il tempo e il silenzio diventa assordante ma necessario. “Operazione top secret”, dicono da Roma, perché la situazione è delicata, diventata ancor più tesa dopo il blitz ordinato da Obama per liberare un capitato statunitense nelle mani dei Somali. Tre pirati sono stati uccisi, un quarto è stato fatto prigioniero: l’azione di forza portata a termine a Pasqua ha complicato le operazioni di negoziato per il rilascio del rimorchiatore italiano Buccaneer nelle mani dei pirati da 72 ore.
Per ora, ci sono due certezze: la prima, i 16 marinai stanno bene; la seconda: per loro non è stato chiesto alcun riscatto. Almeno non per ora.
La Farnesina ha imposto il silenzio, lo ha imposto alle autorità coinvolte nelle trattative e l’ha ordinato alle famiglie dei dieci italiani dell’equipaggio a bordo del rimorchiatore di proprietà della Micoperi di Ravenna. Dopo il blitz americano la situazione è complicata e la minaccia dei somali preoccupa: “Attaccheremo ancora”, anzi “atteccheremo anche fuori dai confini della Somalia. E se di mezzo ci saranno americani, nessuno si aspetti pietà da parte nostra”. Un messaggio netto, che però non fa alcun riferimento alla questione del Buccaneer.
In ogni caso, ieri pomeriggio, nel corso di una riunione fiume all’Unità di Crisi del ministero degli Esteri, la Farnesina ha pianificato la linea di azione, puntando tutto sulla trattativa ad oltranza. Niente blitz, per ora, anche se ci si prepara al peggio. Un attacco ai somali sarebbe però solo l’ultima, estrema opzione. Ma fino a quel momento, la parola d’ordine è dialogo, anche, in prospettiva, con le autorita’ del governo di transizione somalo, ha precisato lo stesso ministero. Perché le autorità italiane puntano alla risoluzione del caso con un attività diplomatica, una strategia adottata in tutti i casi di presa di ostaggi italiani (in Iraq, Afghanistan, Yemen, nella stessa Somalia e altrove).
In questa fase, secondo le pochissime informazioni che oltrepassano la stretta maglia del silenzio degli organismi di intelligence, è stata mobilitata tutta la rete informativa in Somalia per trovare un efficace canale di mediazione. “E’ quello che si fa sempre all’inizio”, dicono alla Farnesina. Anche se, nel caso del rapimento dei marinai, ci sono alcune “significative peculiarità”. Due su tutte, destinate ad incidere sul tradizionale modus operandi dei negoziatori. In primo luogo, viene sottolineato, a differenza di altri sequestri in questo non c’è alcuna incognita su dove si trovino gli ostaggi e i loro sequestratori: la posizione del Buccaneer, grazie ai molti satelliti puntati sul Golfo di Aden, è perfettamente nota alle autorità italiane e straniere che operano nell’area.
E secondo le ultime rilevazioni, il rimorchiatore italiano si trova alla fonda, di fronte alla costa somala, a circa 10 miglia dal villaggio di Las Qoray nel nord della Somalia. Secondo: il rimorchiatore ha apparati che consentono un contatto diretto tra i rapitori e i negoziatori e se una mail parte dal Buccaneer (come quella che sabato scorso ha dato l’allarme) non c’é dubbio che il mittente siano i rapitori degli italiani. Di sicuro niente millantatori. Tutto questo rende lo scenario meno complesso, ma non per questo la soluzione della vicenda è più semplice. I pirati, concordano gli organismi di intelligence che si occupano del fenomeno, negli ultimi tempi si sono dotati di sofisticati armamenti e tecnologie che, se da un lato consentono loro di sfuggire ai controlli delle navi militari di mezzo mondo e continuare ad agire, dall’altro rendono particolarmente rischiosa un’azione militare nei loro confronti. In ogni caso, non c’é dubbio che in questa fase tutti, a partire dall’armatore e dai familiari degli ostaggi, siano per la trattativa e per una soluzione negoziale e pacifica. Naturalmente la fregata della Marina militare italiana Maestrale, con 220 uomini a bordo, è “pronta ad ogni evenienza”.
Da ieri si trova sul posto, insieme alle unità di diversi altri Paesi Ue che partecipano alla missione antipirateria Atalanta. Questo significa che, in caso di blitz e secondo la prassi che vuole che siano le forze del Paese interessato ad intervenire, saranno anche i due elicotteri e gli incursori di Marina imbarcati ad entrare in azione, naturalmente insieme e in coordinamento con gli alleati. “La situazione - ammettono dalla Farnesina - viene analizzata anche da questo punto di vista, ma allo stato non c’è alcuna ipotesi di intervento”. Non per ora, ovviamente, anche se la trattativa resta complicatissima.
Fonti della flotta americana nell’area sottolineano comunque che il blitz di domenica - a 48 ore di distanza da un altro blitz, compiuto dai soldati francesi per liberare i passeggeri di uno yacht - ha aumentato il pericolo che i pirati adottino per il futuro metodi più violenti. “Sono molto contento che il capitano Phillips sia stato liberato”, ha commentato il presidente Usa, Barack Obama, dopo l’intervento dei militari, da lui stesso autorizzato.
“Siamo determinati - ha aggiunto - a fermare l’insorgere della pirateria nella regione: dobbiamo continuare a lavorare con i nostri partner per prevenire attacchi futuri” ed “essere preparati a impedire atti di pirateria”.
Raffaele Schettino
Per ora, ci sono due certezze: la prima, i 16 marinai stanno bene; la seconda: per loro non è stato chiesto alcun riscatto. Almeno non per ora.
La Farnesina ha imposto il silenzio, lo ha imposto alle autorità coinvolte nelle trattative e l’ha ordinato alle famiglie dei dieci italiani dell’equipaggio a bordo del rimorchiatore di proprietà della Micoperi di Ravenna. Dopo il blitz americano la situazione è complicata e la minaccia dei somali preoccupa: “Attaccheremo ancora”, anzi “atteccheremo anche fuori dai confini della Somalia. E se di mezzo ci saranno americani, nessuno si aspetti pietà da parte nostra”. Un messaggio netto, che però non fa alcun riferimento alla questione del Buccaneer.
In ogni caso, ieri pomeriggio, nel corso di una riunione fiume all’Unità di Crisi del ministero degli Esteri, la Farnesina ha pianificato la linea di azione, puntando tutto sulla trattativa ad oltranza. Niente blitz, per ora, anche se ci si prepara al peggio. Un attacco ai somali sarebbe però solo l’ultima, estrema opzione. Ma fino a quel momento, la parola d’ordine è dialogo, anche, in prospettiva, con le autorita’ del governo di transizione somalo, ha precisato lo stesso ministero. Perché le autorità italiane puntano alla risoluzione del caso con un attività diplomatica, una strategia adottata in tutti i casi di presa di ostaggi italiani (in Iraq, Afghanistan, Yemen, nella stessa Somalia e altrove).
In questa fase, secondo le pochissime informazioni che oltrepassano la stretta maglia del silenzio degli organismi di intelligence, è stata mobilitata tutta la rete informativa in Somalia per trovare un efficace canale di mediazione. “E’ quello che si fa sempre all’inizio”, dicono alla Farnesina. Anche se, nel caso del rapimento dei marinai, ci sono alcune “significative peculiarità”. Due su tutte, destinate ad incidere sul tradizionale modus operandi dei negoziatori. In primo luogo, viene sottolineato, a differenza di altri sequestri in questo non c’è alcuna incognita su dove si trovino gli ostaggi e i loro sequestratori: la posizione del Buccaneer, grazie ai molti satelliti puntati sul Golfo di Aden, è perfettamente nota alle autorità italiane e straniere che operano nell’area.
E secondo le ultime rilevazioni, il rimorchiatore italiano si trova alla fonda, di fronte alla costa somala, a circa 10 miglia dal villaggio di Las Qoray nel nord della Somalia. Secondo: il rimorchiatore ha apparati che consentono un contatto diretto tra i rapitori e i negoziatori e se una mail parte dal Buccaneer (come quella che sabato scorso ha dato l’allarme) non c’é dubbio che il mittente siano i rapitori degli italiani. Di sicuro niente millantatori. Tutto questo rende lo scenario meno complesso, ma non per questo la soluzione della vicenda è più semplice. I pirati, concordano gli organismi di intelligence che si occupano del fenomeno, negli ultimi tempi si sono dotati di sofisticati armamenti e tecnologie che, se da un lato consentono loro di sfuggire ai controlli delle navi militari di mezzo mondo e continuare ad agire, dall’altro rendono particolarmente rischiosa un’azione militare nei loro confronti. In ogni caso, non c’é dubbio che in questa fase tutti, a partire dall’armatore e dai familiari degli ostaggi, siano per la trattativa e per una soluzione negoziale e pacifica. Naturalmente la fregata della Marina militare italiana Maestrale, con 220 uomini a bordo, è “pronta ad ogni evenienza”.
Da ieri si trova sul posto, insieme alle unità di diversi altri Paesi Ue che partecipano alla missione antipirateria Atalanta. Questo significa che, in caso di blitz e secondo la prassi che vuole che siano le forze del Paese interessato ad intervenire, saranno anche i due elicotteri e gli incursori di Marina imbarcati ad entrare in azione, naturalmente insieme e in coordinamento con gli alleati. “La situazione - ammettono dalla Farnesina - viene analizzata anche da questo punto di vista, ma allo stato non c’è alcuna ipotesi di intervento”. Non per ora, ovviamente, anche se la trattativa resta complicatissima.
Fonti della flotta americana nell’area sottolineano comunque che il blitz di domenica - a 48 ore di distanza da un altro blitz, compiuto dai soldati francesi per liberare i passeggeri di uno yacht - ha aumentato il pericolo che i pirati adottino per il futuro metodi più violenti. “Sono molto contento che il capitano Phillips sia stato liberato”, ha commentato il presidente Usa, Barack Obama, dopo l’intervento dei militari, da lui stesso autorizzato.
“Siamo determinati - ha aggiunto - a fermare l’insorgere della pirateria nella regione: dobbiamo continuare a lavorare con i nostri partner per prevenire attacchi futuri” ed “essere preparati a impedire atti di pirateria”.
Raffaele Schettino